Se il risparmio previdenziale nei Pip è “mordi e fuggi”

Si può dire forse che il mercato si è autoregolato e ha avuto la meglio sulla norma. Quella che in occasione della 252/2005 aveva equiparato strumenti individuali a strumenti collettivi: Pip e fondi negoziali pari sono per la riforma Maroni; per scoprire il perché basta andare a vedere chi era ed è azionista di alcune società emittenti questi strumenti. La crisi economica sta dividendo questi due settori, come emerge dalla Relazione annuale presentata dalla Commissione di vigilanza sui fondi pensione pochi giorni fa. Da una parte si registra una sospensione dei versamenti di quasi 200mila unità tra 1,95 milioni di iscritti ai fondi di categoria (lavoratori che presumibilmente hanno perso il lavoro); dall’altra 1,1 milioni di casi di interruzione dei versamenti su 3,1 milioni di aderenti a piani individuali pensionistici (Pip) e fondi pensione aperti. Da una parte l’incidenza del 10%, dall’altra del 35%. Una differenza non da poco, che impone un ripensamento sul “successo” di Pip e aperti, che nel 2013 hanno registrato 420mila nuovi iscritti: lecito chiedersi se e per quanto tempo continueranno a versare i propri contributi previdenziali o se smetteranno. Numeri che impongono una riflessione sull’utilità di sottoscrizioni fatte su spinta e impulsa di collocatori professionisti, economicamente motivati tanto da incassare in forma di preconto tutte le commissioni che le compagnie assicurative incasserebbero nell’anno successivo. Facile immaginare che le stesse società non possano essere più di tanto contenti di queste adesioni “mordi e fuggi”, a danno dell’iscritto e della società stessa: invece di investire entrambi nel lungo termine, entrambi si muovono in modo impulsivo (con gran dispersione di spese amministrative). Logico immaginare che questi “previdenti mordi e fuggi” difficilmente possano costruire qualcos’altro per il loro futuro. E qui il danno diventa maggiore e socialmente e politicamente più rilevante.
Anche queste sono disuguaglianze sociali prodotte dalla crisi economica, oltre che da una normativa zoppicante; circostanze che allontanano dalla previdenza complementare proprio coloro che oggi avrebbero più bisogno di coprirsi dal rischio di sopravvivere al proprio denaro: giovani, donne, lavoratori residenti al Sud. Da parte sua Covip vigila sulla qualità del risparmio previdenziale in essere, scongiurando patologie che altre forme di risparmio, più finanziarie e speculative, presentano numerose; una qualità che riduce il rischio che il lavoratore si trovi in condizioni di indigenza in futuro, sostenendo al contempo l’economia reale, come nei progetti indicati dallo stesso presidente di Covip della sua relazione annuale. Per questo invece che sopprimerla sarebbe utile estendere l’attività di vigilanza Covip ad altri comparti, come quello dei fondi sanitari, che risentono in modo severo della crisi economica e presentano un deficit di vigilanza allarmante. Spetta all’Esecutivo intervenire in questo senso per estendere la qualità alla quantità, allargando le garanzie a chi non le ha. I progetti non mancano, definiti in questi anni di wait and see: un approccio, questo sì, da rottamare.