Fondi pensione ed economia, quel dibattito tra sordi (per non parlare delle banche)

Da una parte i richiami a investire nell’economia reale del paese. Dall’altra la disponibilità di mettere in campo risorse per rimettere in circolo il risparmio previdenziale. In mezzo, il vuoto prodotto da convegni e dibattiti in cui si esibiscono sottosegretari dei più svariati orientamenti politici e soggetti coinvolti nelle “fonti istitutive” dei fondi pensione. Tutti pronti a esercitarsi – ormai da anni – su ipotesi di riforma della normativa in vigore, ma estremamente parsimoniosi nel passaggio all’azione. A poco valgono gli appelli, gli interventi, le sollecitazioni che anche questo giornale ha più volte rivolto agli attori del sistema per una declinazioni fattiva delle petizioni di principio: fa premio, finora, la paura di sbagliare nel migliore dei casi o quanto meno la difficoltà di rimetter mano a meccanismi in grado di progettare le risorse nel lungo periodo.
E così anche le ultime indicazioni della Commissione di vigilanza sui fondi pensione sull’argomento si candidano a diventare lettera morta. Di cosa si tratta? Di identificare veicoli in cui i gestori che ricevono mandato dai fondi pensione, possano investire migliorando la diversificazione del portafoglio; veicoli da aggiungere ai pochissimi titoli azionari e a quei 24 miliardi di titoli di Stato presenti nei portafoglio dei fondi pensione. Strumenti che forniscano liquidità al sistema delle imprese, consentendole quindi maggiore agilità economica e di conseguenza una maggiore solidità nel mercato nazionale e internazionale; circostanza che dovrà produrre una maggiore resistenza alle fasi avverse e, auspicabilmente, più occupati. In un circolo virtuoso che porterà gli stessi fondi pensione a disporre di numeri maggiori e quindi inferiori corsi operativi (già peraltro molto bassi a livello europeo).
Ipotesi ce ne sono molte: dalle emissioni del Tesoro, dedicate ai fondi pensione, che però presentano problemi regolamentari, alla sottoscrizione di minibond, che rischia però la dispersione delle risorse fino alla sottoscrizione di obbligazioni emesse da Cassa Depositi e Crediti – ed è l’ipotesi più accreditata -, che trasformi la Cdp in una cassa di compensazione tra sistema del credito e imprese. Forse proprio le resistenze del sistema bancario, che pur ritraendosi non facilmente lascia campo ai competitors, evitano al progetto di decollare. O forse no? Forse ci sbagliamo?