L’obbligo di pensare al futuro

Ci sono film che a ogni passaggio televisivo registrano un’audience quasi garantita. Sia che si tratti dei classici di Totò o di Don Camillo e Peppone, o dei romantici alla Pretty Woman, le emittenti sanno che il pubblico non tradirà. Le spiegazioni sono raggruppabili nella grandezza dei protagonisti, nelle storie evergreen, nel fatto che piacciono perché comunque si sa come andranno a finire e ogni scena viene vissuta e partecipata dai telespettatori quasi fossero registi e attori che conoscono a memoria non solo il copione, ma come interpretarlo al meglio. Chissà se tra qualche decina di anni si potrà dire lo stesso della previdenza complementare, una grande storia che l’Italia stenta ancora a impersonare nonostante i chiari segnali dell’impossibilità del “primo pilastro”, quello dei versamenti obbligatori, di sostenere una rendita pensionistica in grado di mantenere un livello di reddito adeguato all’ultimo stipendio percepito prima di lasciare l’occupazione. Certo, la situazione economica non invoglia a pensare a lungo termine, ma rimanere agganciati a una strategia proiettata in avanti diventa cruciale soprattutto per i giovani.

Sì, i giovani, quelli che da ogni statistica escono con le ossa rotte: disoccupazione alle stelle, bassi stipendi quando agguantano un posto, prospettive di crescita professionale ed economica invischiate da un paese che premia troppo poco il merito. Verrebbe da dire che per loro siamo già in ritardo. La Covip, commissione di vigilanza sui fondi pensione, registra come solo il 17,6% degli under 35 aderisca a un fondo pensione; una quota che precipita al 2,6% per gli under 25. E dall’ultimo sondaggio svolto per Plus24 da IPR Marketing, è emerso che quasi il 90% per cento degli italiani non ha una pensione “di scorta”, l’81% non è titolare di una polizza sulla vita così come di una copertura sanitaria integrativa. Dove si sta sbagliando? Gli strumenti non sono quelli giusti? I messaggi non partono e vengono recepiti con chiarezza? O forse dietro questo scenario si cela uno dei grandi nodi ancora da sciogliere: la capacità di affrontare le emergenze – e ne stiamo scontando parecchie – e allo stesso tempo mantenere la capacità di pianificare in modo strategico il proprio futuro, quel welfare personale che non si può delegare ad altri perché deve nascere dalla convinzione che non ci sarà più nessuno intervento miracoloso.

Allora perché non mettere davvero al centro della scena i giovani? Magari coinvolgendoli in modo organico – e non estemporaneo – nel processo di elaborazione dei messaggi utili a comprendere l’importanza del risparmio previdenziale. Ascoltando inoltre le loro proposte in termini di definizione dei piani di pianificazione, delle modalità di accumulazione (cosa fare in caso di discontinuità lavorativa?) o di decumulazione (bastano i soldi per una vita dignitosa oppure per chi non è autosufficiente è più utile un valido servizio di assistenza?). Se fino a ieri uno Stato sociale “pesante” offriva garanzie sufficienti, salvo sorprese in verità poco rare, ora sappiamo tutti che anno dopo anno le fragilità individuali saranno un rischio da cui proteggersi. Ognuno ora ha il grande obbligo di pensare al futuro.

Di Massimo Esposti

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